Autoeducazione: "tempo e fiducia."


Mi capita di leggere due interessanti post riguardanti il bambino, uno inerente all’importanza del gioco spontaneo e uno sul diritto di oziare.

Poi un proficuo scambio di tweet con @MammaMoglieDonna: rallentare per cogliere l’essenziale che ci scorre davanti...

Da tutto ciò  deriva questa mia riflessione sul tempo e la fiducia, intesi nel loro valore auto-educante.

Buona lettura.
Bambini che giocano in una foto di Robert Doisneau


“La grandezza, di un uomo o di un popolo, non è colorita, sonora, applaudibile, rapida: è una cosa intensa, lenta; si nutre di silenzio e di tempo.”
Massimo Bontempelli, Il Bianco e il Nero, 1987
Quando noi eravamo piccoli avevamo la strada. Non c’era la tecnologia odierna o meglio, iniziava ad esserci, a fare capolino nei nostri pomeriggi ma non era ancora così sviluppata come lo è oggi, né alla portata di tutti.
Si finiva scuola all’ora di pranzo, si rientrava a casa, c’erano i compiti sì, ma di tempo ne rimaneva molto; si usciva per stare con gli amici, inverno o estate che fosse, senza la necessità di un cellulare in tasca, consapevoli che in caso di bisogno c'era sempre una cabina telefonica con una monetina.
Eravamo… soli.
Dovevamo cavarcela da noi, gestire il tempo nei vari  A cosa giochiamo”, “Dove andiamo”, “Che facciamo”, imparando a districarci nelle relazioni, nei contrasti, negli scontri, nelle alleanze, nel creare rapporti nel e con il gruppo di pari, ma anche con quelli più piccoli e con quelli più grandi. L’adulto non c’era, era altrove, al lavoro o impegnato in faccende personali  e ci si vedeva a casa alla sera, ognuno carico della propria giornata vissuta, dell’esperienza acquisita semplicemente vivendo la propria età.
Ma noi bambini, in campo, in piazza o per le vie del paesello eravamo veramente soli in quei lunghi pomeriggi passati a giocare? Non credo: l’adulto era sempre presente attraverso le regole che egli stesso ci  imponeva.
Ho avuto la fortuna di crescere a Venezia, una città priva di traffico automobilistico, tranquilla sì, ma pur sempre piena di insidie: il malintenzionato, il gioco pericoloso o la compagnia sbagliata erano sempre lì, in agguato, poiché elementi presenti in questo mondo, lo stesso in cui mi muovevo e crescevo e che dovevo imparare a riconoscere e gestire. 
Avevo delle regole ferree sull’orario di rientro e i confini da non superare, l’educazione e il rispetto da portare sempre e comunque, la giusta diffidenza verso l'estraneo a seconda delle situazioni che mi si paravano davanti.
Mia madre non c’era eppure era sempre lì, nel rispetto di quelle regole, che davano la possibilità di imparare ad auto-gestirsi, consapevole che infrangerle avrebbe comportato un rischio più grosso delle classiche punizioni o dei soliti castighi, ovvero quello di perdere la fiducia che veniva riposta in noi, segno di un’autonomia che, giorno dopo giorno, guadagnavamo diventando pian piano responsabili e indipendenti, meritandoci lentamente il "titolo" di adulto.
La fiducia era ed è una conquista importante e perderla significa non essere ancora “pronti” e quindi piccoli, una sconfitta che brucia molto in un momento particolare come quello dell’adolescenza, dove il voler dimostrare d’essere all’altezza a tutti i coti è la sfida più grande che siamo chiamati ad affrontare: chi per ribellione, chi per curiosità, chi per bisogno… Ma oggi, che accade?
Siamo gli stessi che son cresciuti in questa maniera eppure se ci guardiamo attorno vediamo come il tempo dei bambini, anche dei più piccoli, sia programmato e adattato alle esigenze altrui, quelle degli adulti.
Scuola, corsi, sport, laboratori scandiscano le giornate dei nostri figli. Questa è una società del “fare”, della competitività, della frenesia che obbliga a correre per stare dietro a ritmi che, alla fine, logorano anche l’adulto, figuriamoci un bambino.
Tutto è controllato, predisposto, monitorato sotto l'occhio vigile dei genitori che non mollano la presa sui figli, sballottati da un'attività all'altra, dove gioco spontaneo e ozio non trovano appiglio, negando elementi necessari per la conquista di una propria e attiva autonomia.
Mi capita spesso di sentire di bambini molto piccoli “stressati”.
Già questo dovrebbe imporre di tirare un freno a mano avviando una riflessione, forse una messa in discussione.
Indubbio che i tempi siano cambiati e che ora entrambi i genitori lavorino. Forse questo programmare non è altro che una risposta ad un bisogno, quello di accudire, che la famiglia non riesce più garantire da sola e che delega ad altri, ma è anche vero che non sempre è così,  ma l’atteggiamento frenetico rimane il medesimo.
Oziare e annoiarsi sono esperienze utili perché anche nel non fare niente c’è un’occasione di crescita: ma a voi non capita mai di desiderare giornate d'ozio, dove non fare nulla se non stare sdraiati e godere dei piccoli piaceri che solitamente vi negate?
E non è lì, proprio in quei momenti di presunta  inerzia o immobilità fisica,  dove è possibile riflettere, riordinare le idee, tirare le somme di quanto fatto permettendoci di ripartire più carichi per affrontare il domani con maggior consapevolezza e decisione?
Ma perché, per un bambino, non dovrebbe essere così?
Spronarlo a fare va bene, per carità, ma lasciatelo anche giocare libero, nel suo oziare, che consiste sempre in una scoperta, ovvero quella di dare valore agli attimi, agli istanti, alla solitudine che ci impone comunque di (re)agire, diventando pian piano grandi.

Regole dunque, per poter imparare a stare nel mondo e che necessitano di una continua sperimentazione nel quotidiano per poter essere interiorizzate, atteggiamento che è profondamente diverso, da un punto di vista educativo,  dal semplice obbedire per timore, ricevendo in cambio quel senso appagante che solo la nostra più totale fiducia, nei suoi confronti, gli sa trasmettere…
“In ogni cosa, la fiducia che si sa ispirare costituisce la metà del successo. La fiducia che si avverte è l’altra metà.”
Victor Hugo, Oceano,  1989 (postumo)
Sylvia Baldessari

 


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