Nel nome del padre.

A settembre da Ma.Mi a Milano dovrebbe partire  “Nel nome del padre”, uno spazio di confronto per riflettere insieme, discutere e prendere consapevolezza del proprio modo di essere padre, dei modelli oggi proposti, delle proprie risorse e difficoltà, alla ricerca della propria dimensione. L’incontro è aperto ai padri ed alle coppie. Per maggiori informazioni visitate il sito di Ma.Mi o scrivete a: info.@ma-mi.it. Potete inoltre leggere su twitter le riflessioni sul tema che sono state pubblicate a giugno da diversi blogger, seguendo l’hashtag #esserepapà.


Sarò sincera, avevo iniziato un altro post dove volevo parlare di mio nonno, mio padre e del padre di mio figlio, il mio compagno.
Ho iniziato a scrivere e dopo aver ricordato mio nonno già qualcosa non quadrava.
Rileggevo le poche righe scritte e no, non mi convincevano affatto.
Ho continuato comunque a scrivere e sono passata a mio padre: lì, dopo la prima frase continuavo a digitare e cancellare, digitare e cancellare restando, infine, per un giorno intero ferma in quel che oserei definire “blocco dello scrittore”.
Strano, perché non devo narrare una storia immaginaria ma qualcosa che ho vissuto in prima persona come figlia.
Ed io, con mio padre, ho un buon rapporto.
Cosa c’è, allora, che non va?
Semplice, rileggendo più volte quel poco che avevo scritto mi sono accorta di come avessi impostato la mia testimonianza in maniera tecnica, professionale, più con lo sguardo dell’educatore che con quello della figlia che sono.
Intenta a snocciolar definizioni e riflessioni teoriche ho perso di vista ciò che di più vero e significativo c’è nella relazione genitore-figlio: il cuore.
In un’epoca dove  tutto scorre troppo veloce e i modelli di riferimento puntano ad una perfezione esasperante, frutto di una società basata più sull’apparenza che sulla peculiarità dell’individuo stesso, è facile perdere di vista il cuore per cadere in una più fredda e  distaccata analisi della propria esperienza.
Dunque non mi soffermerò sulla definizione di “padre ideale” e su ipotetiche linee guida che, educativamente, potrebbero andare bene, come farebbe una delle tante (e forse troppe) famose “Tate” mediatiche. Mi limiterò a dire ciò che il cuore suggerisce attraverso le sue più profonde palpitazioni, ringraziando mio nonno e mio padre per i grandi insegnamenti da loro ricevuti, per avermi sempre ripetuto che libri sono importanti, che leggere ti fa volare in “altri dove” che ti permettono di comprendere meglio il tuo “qua ed ora”, che studiare ed apprendere davvero la conoscenza ti rende libera e che i sogni sono fatti per essere inseguiti sempre e  comunque, perché una vita priva di passione, di quella che nasce da dentro, viscerale, che ti spinge ad esprimerla perché non puoi fare altrimenti allora, senza, è una vita vissuta solo a metà.
Al mio compagno, al padre di mio figlio, auguro di essere se stesso e di non aver paura di commettere errori, di mettersi in discussione, di iniziare da capo se bisognerà farlo, senza dover per forza confrontarsi con quella immagine di padre ideale, perfetto, impeccabile, granitico, privo di qualsiasi sbavatura o senza quelle sfumature, invece per me essenziali, perché in esse si nascondono interi universi in attesa di essere scoperti, esplorati e vissuti in questo caso nel ruolo di genitore, nella sua dimensione più umana, (im)perfettamente umana.
Che sia consapevole del fatto che, di momenti difficili ce ne saranno e che potrà far rispecchiare  il suo sguardo nei miei occhi, ed il mio nei suoi, per poterli così superare assieme.
Solo questo.
Il resto lo scriveremo Domani.







Articolo pubblicato su TuttoPerLaMamma.it

Sylvia Baldessari

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